Articolo a cura della Dott.ssa Bianca Peretti

Rischio cardiovascolare nelle donne

Negli Stati Uniti, così come in tutti i Paesi più sviluppati, le malattie cardiovascolari sono la

prima causa di morte nelle donne.

L’incidenza delle malattie cardiovascolari ha subito una flessione significativa nelle ultime

decadi,ma tale flessione riguarda soprattutto l’uomo, in quanto nella donna tali malattie

rimangono ancora il killer numero uno. Un dato significativo è stato proposto dal National

Center for Health Statistics, che nel 2004 ha evidenziato come l’incidenza di eventi

cardiovascolari sia stata di 245,3 per 1000 donne, ben dieci volte superiore all’incidenza

del tumore della mammella. Sempre negli Stati Uniti, più di un terzo di tutti i decessi sono

causati da malattie cardiache e ben il 52,8 per cento avviene nelle donne. Esiste anche una

differenza in termini di tempo per lo sviluppo di tali malattie: infatti gli uomini le

sviluppano prima delle donne, ma le donne – soprattutto dopo la menopausa – le

sviluppano più rapidamente.

Le malattie cardiovascolari sono la seconda causa di morte nelle donne di 45-64 anni e la

terza in quelle di 25-44 anni. Malgrado queste aride statistiche, solo il 57 per cento delle

donne sa che le malattie cardiovascolari sono un fattore di rischio significativo per la

mortalità.

Considerando i principali fattori di rischio, è opportuno partire dal presupposto che per

tali fattori non esistono differenze di genere, ma ne esistono di significative per il loro

impatto.

• Il più importante fattore di rischio per le donne è l’ipertensione. Le donne

tendono a sviluppare ipertensione – soprattutto sistolica – specie nel passaggio in

menopausa. Durante e dopo la menopausa, l’insorgenza dell’ipertensione nelle

donne è indipendente dall’indice di massa corporea (BMI) e dall’età e si crede sia

legato alla mancanza di estrogeni, dunque a una vasocostrizione. Le ultime linee

guida dell’American Heart Association (AHA) sottolineano l’importanza di

mantenere la pressione sistolica sotto i 120 mmHg.

• Le concentrazioni plasmatiche di colesterolo HDL e LDL sono fattori di rischio

indipendenti per le malattie cardiovascolari sia negli uomini sia nelle donne:

risentono di aspetti genetici, esercizio fisico e dieta e (nelle donne) variano con la

funzione ovarica. Prima della pubertà il c-HDL è più alto nei ragazzi che nelle

ragazze, poi diminuisce nei ragazzi. Nelle donne il valore del c-HDL aumenta fino

alla menopausa, poi diminuisce circa di 3,5 mg/dL, rimanendo più alto che negli

uomini di pari età. Alti livelli di c-HDL proteggono entrambi i sessi dalle malattie

cardiovascolari ma soprattutto le donne, in cui un aumento di 10 mg/dL riduce il

rischio del 40-50 per cento. I livelli di c-LDL sono più bassi nelle donne dalla

nascita e aumentano dopo la menopausa. Dopo la menopausa i livelli di LDL

aumentano e sono maggiori che negli uomini. Una colesterolemia LDL di 130 mg/

dL è fattore di rischio cardiovascolare sia per le donne sia per gli uomini, e una sua

riduzione garantisce benefici sia per le donne più anziane sia per quelle più giovani.

• E’ chiaro che prima di un trattamento vanno considerati altri fattori di rischio come

il diabete, lo stato ormonale e la familiarità. Il diabete mellito è un fattore di

rischio cardiovascolare tra i più significativi: la presenza di diabete raddoppia infatti

il rischio di infarto miocardico rispetto alle donne non diabetiche e triplica quello di

malattie cardiovascolari. Le donne diabetiche sono più esposte perché hanno più

fattori di rischio e presentano la sindrome metabolica.

• L’incidenza dell’infarto miocardico è dose-dipendente nelle donne di età superiore a

44 anni, aumentando da 2,5 volte per chi fuma 1-5 sigarette al giorno a 74,6 per chi

ne fuma più di 40. Il fumo aumenta anche il rischio di ictus cerebrale, di

arteriopatia obliterante cronica periferica e aneurisma dell’aorta.

• Nelle donne l’obesità e l’attività fisica sono fattori di rischio cardiovascolare

indipendenti. Nel 2005 il 33,2 per cento delle donne sopra i 20 anni negli Stati Uniti

aveva un BMI di 25 kg/mq. Le donne che praticano attività fisica presentano

migliori valori pressori, del quadro lipidico e dei valori glicemici.

• La depressione, lo stress e il calo dell’autostima sono considerati comuni

fattori di rischio negli uomini e nelle donne, ma esistono poche informazioni sulle

differenze di genere.

La prevenzione è il punto cardine nelle malattie cardiovascolari.

Il genere come fattore di rischio

I più potenti fattori di rischio cardiovascolare penalizzano entrambi i sessi, ma alcuni di

essi sembrano decisamente “misogini”.

• Nella donna esiste una forte associazione tra ipertensione arteriosa e morte precoce,

e una ancora più forte (molto più che nell’uomo) con la CHD.

• Il fumo è la prima causa di morte prevenibile per le donne. Secondo Willett et al.,

più di metà degli infarti miocardici si associa all’uso di tabacco; l’eccesso di rischio –

2-4 volte maggiore – è simile nei due sessi, ma la relazione causa-effetto è dosedipendente,

per cui anche i “piccoli fumatori” (1-4 sigarette die), più comuni fra le

donne, corrono comunque un rischio più del doppio di sviluppare la CHD rispetto

alle non fumatrici.

• Alcuni studi dimostrano che il rapporto colesterolo totale/colesterolo HDL e la

lipoproteina(a) sono, nel loro insieme, il più potente fattore di rischio coronarico

dopo l’età, e che le sue differenze di espressione sono genere-dipendenti. In

particolare, la concentrazione della lipoproteina(a) è ereditaria, non cambia dalla

prima infanzia – diversamente dagli altri lipidi plasmatici, che invece si modificano

nella vita della donna – e ha attività aterogena e trombogena.

• Il diabete aumenta il rischio di morte coronarica (rispetto ai non diabetici) molto

più nelle donne (3-7 volte) che negli uomini (2-3 volte). La penalizzazione della

donna è dovuta all’effetto della malattia sui lipidi plasmatici e sulla pressione

arteriosa: il diabete esalta l’azione degli altri fattori di rischio e, interagendo sul

legame degli estrogeni, altera la loro azione protettiva e può annullare gli effetti

benefici della terapia ormonale sostitutiva della menopausa. Il diabete produce

infatti alti livelli di trigliceridi e bassi livelli di colesterolo HDL, spostando il profilo

lipoproteico verso particelle più piccole, dense e aterogene che facilitano la

formazione della placca. Il diabete aumenta infine i livelli di fibrinogeno e riduce la

fibrinolisi, accrescendo il rischio di trombotico.

Aterosclerosi e rischio di genere

L’aterosclerosi si manifesta in modo diverso nell’uomo e nella donna. Le ragioni di questa

differenza sono in prevalenza di natura biologica e ormonale. Nel sesso maschile la

formazione della placca aterosclerotica inizia a rendersi evidente verso i 30 anni circa. A

partire da questa età (ma osservazioni sporadiche su marines morti in Vietnam sembrano

anticipare di 10 anni l’esordio della malattia), vari studi anatomo-patologici segnalano –

solo nell’uomo – placche aterosclerotiche coronariche in fase di avanzata maturazione.

Nella donna ciò non avviene perché il sesso femminile è protetto durante la vita fertile dal

cosiddetto “ombrello estrogenico” creato dagli ormoni sessuali. Nella donna la formazione

delle placche ateromatose non ha inizio – salvo eccezioni – prima della menopausa, che in

Italia insorge in media a 51 anno. Considerando che la placca impiega dai 15 ai 25 anni per

creare nell’arteria un restringimento emodinamicamente significativo, questo spiega

perché nel sesso maschile le sindromi coronariche acute insorgano – sempre in media – a

partire dai 50 anni, mentre nelle donne questo avvenga circa 20 anni dopo, cioè dopo i 70

anni.

Menopausa e rischio cardiovascolare

Il quadro ormonale, in particolare la sua componente estrogenica, influenza l’evoluzione

della malattia aterosclerotica modulando i fattori di rischio coronarici. In altri termini, la

presenza degli estrogeni nel corso della vita fertile favorisce un profilo lipidico sfavorevole

alla formazione della placca ateromatosa. Il calo estrogenico che fa seguito alla menopausa

produce invece un aumento del colesterolo totale e LDL, cui si associano una riduzione

della frazione HDL e una ridotta sensibilità all’insulina, che a sua volta condiziona un

maggior rischio di sviluppare diabete mellito. Il quadro ormonale postmenopausale si

associa inoltre a un aumento significativo della pressione arteriosa e del peso corporeo.

Rispetto all’età fertile, il pannicolo adiposo si ridistribuisce secondo un modello androide,

con aumento del rapporto vita/fianchi, la qual cosa aumenta la resistenza insulinica e

favorisce l’insorgenza di eventi cardiaci, facilitata anche dalla comparsa di disfunzione

endoteliale.

La relazione tra genere e disfunzione endoteliale è stata valutata nel microcircolo periferico

di donne sane e ipertese, dimostrando che mentre nel sesso maschile l’invecchiamento si

accompagna in modo costante e omogeneo all’insorgenza della disfunzione endoteliale, nel

sesso femminile la funzione endoteliale inizia a deteriorarsi rapidamente a partire

dall’insorgenza della menopausa. Ciò conferma che nell’età fertile gli estrogeni proteggono

dall’invecchiamento l’endotelio della donna. In menopausa, invece, sembra che il deficit di

estrogeni aumenti l’espressione del recettore AT1 vascolare, che a sua volta media alcuni

effetti biologici dell’angiotensina II: vasocostrizione, rilascio di aldosterone, ritenzione

idrica, iperplasia cellulare e effetto tensivo dell’angiotensina AT1.

Sindromi coronariche acute e sesso femminile

La menopausa spiega come il genere possa condizionare l’esordio e lo sviluppo

dell’aterosclerosi. La donna “raggiunge” per così dire l’uomo solo dopo circa 20 anni dalla

comparsa della menopausa stessa (come provato dal fatto che, dopo i 70 anni, la mortalità

per infarto miocardico acuto è simile nei due sessi). Ciò spiega anche perché l’insorgenza di

un infarto in una donna ancora in età fertile abbia una prognosi assai più sfavorevole del

medesimo evento in un coetaneo di sesso maschile. Il miocardio della donna, sprovvisto di

quel “condizionamento” tanto importante nel sesso maschile, è impreparato all’insulto

ischemico e spesso risponde a esso con l’insufficienza ventricolare sinistra. Nella donna

sono inoltre molto più frequenti l’angina precoce postinfartuale e complicazioni letali come

la rottura di cuore.

Spesso, poi, l’infarto nella donna giovane risulta problematico anche dal punto di vista

terapeutico. E’ frequente, infatti, che l’occlusione coronarica non sia dovuta alla classica

fissurazione di placca complicata da trombosi, quanto piuttosto a un’erosione superficiale

e talvolta a una dissecazione della coronaria. Questo evento, devastante per l’arteria ma di

cui non si sa molto, è tipico – per non dire esclusivo – delle giovani donne, anche gravide, e

sembra risentire di influenze ormonali. E ancora, specifici studi anatomo-patologici sulla

struttura della placche aterosclerotica nei due sessi hanno dimostrato che la placca

femminile presenta una significativa ipercellularità con caratteristiche di iperplasia

neointimale rispetto a quella maschile. Per contro, nella placca femminile la sclerosi

(indicata dalla quota di tessuto fibroso denso) è alquanto inferiore rispetto alla placca

maschile. In altre parole, dopo avere effettuato l’opportuna correzione per età anagrafica,

la placca femminile appare più “giovane” di quella maschile.

La popolazione invecchia

Come se tutto ciò non bastasse, in poco più di un quarto di secolo gli uomini ultra65enni

sono passati dal 9,2 all’11,4 per cento e le donne dal 12,3 al 16 per cento. Questo

invecchiamento della popolazione, progressivo ma rapido, si spiega sia con una netta

riduzione della natalità e con la contemporanea riduzione della mortalità per quasi tutte le

cause, soprattutto a partire dalla fine degli anni ’70. Il “combinato disposto” è che la

popolazione occidentale è ormai caratterizzata da un eccesso di anziani, tra i quali le donne

sono in netta prevalenza. L’Italia ha addirittura un record di cui farebbe volentieri a meno:

per la prima volta nella storia dell’umanità, i suoi cittadini over 65 hanno superato gli

under 15. La maggiore incidenza e prevalenza della CHD nella terza età (che è anche la più

fragile, e in cui le donne sono più numerose) potrebbe spiegare perché le donne colpite da

infarto miocardico hanno meno probabilità di sopravvivere rispetto ai “colleghi” uomini.

Le dimensioni di questo svantaggio impongono di puntare l’attenzione sull’epidemiologia e

di mettere in atto opportuni provvedimenti di prevenzione primaria e secondaria.

Sesso forte o sesso debole?

In conclusione, l’aterosclerosi – che nel secolo scorso è stata la prima causa di morte nei

paesi più sviluppati – si conferma rispettosa della donna in età fertile. La menopausa

trasforma però l’altra metà del cielo in un soggetto debole e vulnerabile, ad alto rischio di

eventi cardiaci futuri. Per anni la medicina clinica ha utilizzato modelli declinati in

prevalenza al maschile e ha preteso di curare le donne come fossero uomini. Occorrono

invece studi specifici per comprendere meglio la patologia coronarica e le sue diversità di

genere, così come politiche ad hoc per promuovere un trattamento più aggressivo dei

fattori di rischio femminili, affinché la postmenopausa diventi un’età di serenità anziché di

cardiopatia e inabilità. Un percorso, questo, intrapreso per primi dagli Stati Uniti, dove il

pensiero biomedico che ha portato prima agli altari e poi alla polvere la terapia ormonale

sostitutiva sembra ora orientato alla prevenzione della cardiopatia ischemica nella donna.