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Mancano poco più di due mesi all’entrata in vigore della norma che impedisce ai farmacisti che raggiungono, o hanno già raggiunto l’età pensionabile, di 68 anni in base al regolamento ENPAF, di mantenere la direzione delle farmacie private, sia che si tratti di gestione come ditta individuale che di società. Senza approfondire le motivazioni politiche che indussero il legislatore del “Cresci Italia” ad introdurre questa norma, è indubbio che è ampiamente ora di ragionare sul da farsi nelle migliaia di situazioni che si adattano a questa realtà. Su tale argomento pubblicai sul numero 2 (marzo 2014) della rivista Nuovo Collegamento, l’articolo che riporto in calce.

Ora però sono passati altri otto mesi senza che nessuno sia intervenuto, se non un interessante articolo pubblicato su IusFarma a firma dell’Avv. Silvia Stefania Cosmo. In tale articolo si cita una nota ministeriale che troverebbe compatibile la sostituzione con un farmacista iscritto all’albo, sia per le farmacie gestite come ditta individuale che per quelle gestite tramite una società, indipendentemente, per queste ultime, dalla sua partecipazione alla compagine sociale. Sia la nota ministeriale che il disegno di legge S.1324 all’art. 8 sembrano sottovalutare, se non calpestare, il principio in base al quale chi “dirige” deve poterlo fare nella pienezza dei propri poteri. Banalizzare la figura del direttore, considerandola sostituibile come per qualsiasi evento temporaneo, contribuisce senz’altro ad accelerare il declino della farmacia. Considerazioni più puntuali sono contenute nell’articolo che segue.

 

IL DIRETTORE DELLA FARMACIA APERTA AL PUBBLICO

Negli ultimi tempi la figura del direttore della farmacia aperta al pubblico sembra essersi sbiadita, tanto che il comma 17 dell’art. 11 del cosiddetto decreto “Cresci Italia” (D.L. n. 1/2012 convertito nella legge n. 27/2012), per fini sicuramente estranei al pubblico interesse, ne vieta il mantenimento raggiunta l’età pensionabile. Essendo il titolare e direttore della farmacia iscritto all’ente professionale di assistenza e previdenza, e cioè l’ENPAF, tale età è quella del compimento dei 68 anni per maschi e femmine.

Appare utile allora riportare qui sotto tutte le principali norme che attengono alla figura del direttore, a partire dalla cosiddetta legge Giolitti (n. 468 del 22 maggio 1913) che così recita:  “Art. 14 – Il titolare autorizzato di ciascuna farmacia è personalmente responsabile del regolare esercizio della farmacia stessa…”.

Scorrendo rapidamente tutto il periodo seguente alla legge Giolitti, passando dal Testo Unico delle Leggi Sanitarie (R.D. 27 luglio 1934, n. 1265) che fece proprie le norme della “Giolitti”, ed esauriti i privilegi concessi ai titolari delle farmacie di antico diritto ed a quelli delle farmacie autorizzate secondo le norme antecedenti la legge “Crispi” (n. 5849 del 22 dicembre 1888), si deve arrivare alla legge 2 aprile 1968, n. 475 il cui testo è tutt’ora il caposaldo della normativa che regola il servizio farmaceutico “territoriale”.

Trattandosi di un servizio pubblico – la dispensazione dei medicinali a determinate condizioni – che lo stato affida in concessione ai privati ed ai comuni, il rapporto tra stato e farmacia ha come punto di riferimento una persona fisica che assume su di se la responsabilità della gestione e risponde del buon andamento del servizio. Sul direttore incombono quindi le responsabilità di ordine penale, amministrativo e deontologico. Nei soli casi di farmacie comunali, di sostituzione temporanea del titolare nella direzione o di direzione di farmacie succursali, le conseguenze di provvedimenti che incidono sui beni patrimoniali fanno capo alla proprietà ma senza pregiudizio per le azioni di regresso nei confronti del direttore.

La figura del direttore è presente poi in tutte le leggi che, nel tempo hanno apportato modifiche alla legge 475/68. La legge 8 novembre 1991, n. 362 nell’introdurre la gestione societaria si è preoccupata di prevedere la figura del direttore (tecnico) indipendentemente da chi abbia la rappresentanza legale che, come si sa, spetta a tutti i soci nelle società in nome collettivo ed all’accomandatario in quelle in accomandita semplice. Col diffondersi della gestione societaria, incentivata anche dalla cosiddetta “legge Bersani” del 2006 che ha consentito la proprietà fino a quattro farmacie per società, ci si è resi conto che la previsione: la direzione della farmacia gestita dalla società è affidata ad uno dei soci che ne è responsabile (art. 7, comma 3, legge 362/91), lascia lo spazio a gestioni societarie puramente fittizie nelle quali un socio detiene il 99,9% delle quote ed un altro che detiene il restante 0,1%. Viene da chiedersi allora quale sia il potere decisionale del socio minoritario che, in vari casi, ricopre anche la figura di direttore responsabile. Come se non bastasse, nel concorso straordinario, i titolari di farmacia non sono ammessi mentre lo sono i soci al 99,9% che abbiano ceduto le quote il giorno prima della partecipazione.

La figura del direttore implica infatti, almeno nella farmacia, il possesso di potere decisionale nell’organizzazione del servizio farmaceutico con l’utilizzo dei mezzi finanziari disponibili. Non a caso sia la legge “Giolitti” che la 475/68 avevano riunito le figure del titolare e del direttore nella stessa persona. Con la possibilità della cessione inter vivos o mortis causa delle farmacie, disposta dalla legge 475/68, veniva altresì previsto che il trasferimento delle farmacie, a tutti gli effetti di legge, non è ritenuto valido se insieme col diritto di esercizio (concessione sanitaria) non venga trasferita anche l’azienda commerciale che vi è connessa, pena la decadenza (art. 12, comma 11, legge 475/68). La volontà del legislatore non lascia quindi dubbio sul fatto che il titolare debba disporre anche dei mezzi finanziari a garanzia della qualità del servizio prestato. Nel consentire la gestione societaria, tale principio viene mantenuto infatti in capo ad uno dei soci. La logica avrebbe però voluto che la direzione delle farmacie societarie venisse attribuita al socio maggioritario e, dopo “Bersani”, ad un socio in possesso di una quota societaria tale da consentirgli un certo potere decisionale, nel caso di più farmacie in capo alla medesima società.

I casi di impedimento del titolare o del direttore sono poi disciplinati in modo differente in relazione alla forma giuridica di gestione: nel caso di ditta individuale, mediante il conferimento temporaneo della direzione ad altro farmacista quando ricorrano determinate condizione, per le quali è però prevedibile un periodo temporalmente definito, mentre nel secondo la direzione deve passare ad altro socio, rispettando quindi il principio della sovrapposizione sulla stessa persona della gestione sanitaria ed economica. Nel primo caso infatti la gestione economica può essere, ma non deve, attribuita al sostituto durante il periodo di sostituzione.

Due sono i motivi per i quali ho deciso di sollevare il problema: 1) l’incombere del comma 17 dell’art. 11 del “Cresci Italia” e 2) la circostanza, rilevata in alcuni casi penali, nei quali sono stati indagati, non solo il direttore ma anche l’altro socio, senza tenere nel minimo conto la diversa posizione dei due.

Nel primo caso la norma recita: 17. A decorrere dal 1° gennaio 2015 e fatta eccezione, comunque, per le farmacie rurali sussidiate, la direzione della farmacia privata, ai sensi  dell’articolo  7 della legge 8 novembre 1991, n. 362, e dell’articolo 11 della legge 2 aprile 1968, n. 475, può essere mantenuta fino al raggiungimento del requisito di età  pensionabile  da  parte  del  farmacista  iscritto all’albo professionale. Così come formulata, la norma non sembra finalizzata alla tutela della salute pubblica ma a ben altre ragioni di ordine occupazionale, tenuto conto dell’esclusione delle farmacie rurali sussidiate (cioè quelle poste in comuni o centri abitati con popolazione fino a 3000 abitanti) che potrebbe anche essere ritenuta costituzionalmente illegittima.

Mancando ormai meno di dieci mesi dall’entrata in vigore, è stato inserito nel testo del disegno di legge governativo n. 1324 (omnibus in materia sanitaria) la possibilità di introdurre il raggiungimento dell’età pensionabile tra i motivi che consentono, nel caso della gestione individuale, di affidare la direzione ad altro farmacista, senza nemmeno precisare se dotato o meno dei poteri economici. Nel caso di gestione societaria invece il problema non si pone qualora tra i soci vi sia un infrasessantottenne, imponendosi però la necessità, per tali farmacie, di una valutazione programmatica circa la composizione della compagine societaria.

Qualora la norma dovesse diventare legge, si darebbe un ulteriore colpo al principio della titolarità inscindibile dalla disponibilità dei mezzi economici. Quale scenario sarebbe allora ipotizzabile? Si creerebbero le condizioni per affidare la direzione ad un farmacista dipendente che, in ragione del suo status di lavoratore subordinato, vedrebbe un incremento stipendiale ma non avrebbe alcun potere decisionale restando questo saldamente nelle mani del titolare. E questo non temporaneamente, ma usque ad mortem ovvero fino al trapasso della titolarità della farmacia.

 

Credo che un ripensamento dovrà essere allora valutato dagli estensori, proprio per evitare la banalizzazione ulteriore della farmacia quale servizio pubblico.

Maurizio Cini

(articolo pubblicato sul n. 2/2014 della rivista Nuovo Collegamento)